MARILU’ MANZINI.
UNA FAVOLA MODERNA.
Vivere la contemporaneità.
“Questa mia “polypragmosyne”, questa nonché felice ma necessaria versatilità che è poi il sol mezzo di colorire la vita la quale altrimenti è afasica e grigia, gli imbecilli me la rinfacciano sia coma una colpa, sia come un’ambizione vasta, sovraumana” è di Alberto Savinio
Due sedie davanti a un fondale chiaro. Oggetti che proiettano le loro geometriche ombre sullo sfondo neutrale. Le due sedie, e le due ombre, hanno grandezze differenti, una più grande e una più piccola. Davanti a loro due paia di calzature: un paio di scarpe da uomo classiche e un paio di scarponcini da bambino. Possiamo immaginare i due personaggi che siedono su quegli arredi domestici. I due protagonisti di questa scena sospesa sono restituiti in assenza, attraverso questi oggetti-indizi. Gli indizi sono univoci nell’indicare due persone di diverse generazioni; divergono parzialmente poiché la sedia indica una fase di sosta e di stabilità, le scarpe al contrario sembrano alludere al movimento, al cammino percorso e da percorrere. Non c’è inerzia, perché stasi e moto sono dati insieme, simultaneamente.
E’ una fotografia ispirata alla canzone di Francesco Guccini Un vecchio e un bambino si presero per mano e andarono insieme intorno alla sera. La foto fornisce una visualizzazione alla canzone, ne dà una traduzione dal codice poetico (il testo) e sonoro (la musica) al codice visivo. Dalla parola all’immagine attraverso il suono. Si tratta di un’opera del 2011 di Marilù Manzini e rappresenta una soglia per accedere al suo immaginario. Stiamo per oltrepassarla.
“Si impara tardi a difendersi dalle parole”
Erri De Luca
Nata a Modena nel 1978, Marilù Manzini è nota soprattutto per i suoi successi letterari, tanto da essere stata un “caso” editoriale. Nel 2004 pubblica Io non chiedo permesso per la casa editrice Salani, nel 2006 Il quaderno nero dell’amore e nel 2008 Se siamo ancora vivi entrambi per Rizzoli. Immagini e parole hanno costantemente e parallelamente abitato il suo fervido immaginario, articolato e complesso. Nell’arco di pochi anni infatti ha prodotto non solo romanzi che hanno fatto molto discutere, ma anche opere, ha iniziato anzi a dipingere molto giovane. Le sue due attività, le sue più forti passioni, l’arte e la scrittura, si fondono continuamente in un percorso creativo che può essere definito “poliedrico”.
Poliedrica è proprio il titolo che Marilù Manzini ha scelto per la mostra a Palazzo delle Stelline e a Palazzo … a Milano e che presenta al pubblico una selezione di opere realizzate attraverso differenti linguaggi artistici: quadri, fotografie, sculture.
Emergono chiaramente l’intensità e l’espressività dell’artista e la sua viva curiosità nell’indagare gli aspetti e i sentimenti dell’animo umano. E’ l’uomo il centro dell’interesse, con le fragilità, le fobiche ossessioni, i dubbi superiori alle certezze tipici della condizione umana.
Anche i suoi primi lavori, che datano dalla fine degli anni Novanta e che apparentemente sembrano più autobiografici non lo sono in senso stretto, ma rispecchiano invece una sofferta interiorità.
Pittura, fotografia e scultura sono le principali tecniche utilizzate dall’artista, ma la sperimentazione è continua e in progress. I primi quadri sono infatti molto sofferti e molto più materici dei seguenti, quasi una massa creativa che sta cercando di darsi una forma. Le opere più recenti condensano invece linguaggi della modernità, che vengono dal mondo dei mass media e dalla pratica della comunicazione. Il principio è quello della sintesi: si tratta di immagini che raccontano intere storie in pochi frammenti. Le immagini sintetiche, filtrate attraverso il mondo dei media, catturano l’attenzione dello spettatore attraverso l’arma dell’ironia. Un filone portante della ricerca dedicata alle icone pubbliche del nostro tempo, cantanti, politici, attori o comparse del palcoscenico mediatico, personaggi che popolano i giornali di gossip.
“Il desiderio di conoscenza è rappresentato anche dalla continua sperimentazione di tecniche pittoriche e installative sempre nuove: si passa dell’utilizzo del caffè come fosse colore da stendere sulla tela, alle bruciature di sigaretta, al collage fino ad arrivare alla cosiddetta ‘tecnica mista’, in cui i materiali reali come freccette o retine feriscono la tela.
La Manzini, oltre che raccontare i vissuti di altri, mette molto di se stessa e della sua crescita interiore nelle sue opere. I suoi lavori non sono autobiografici o autoreferenziali, ma rispecchiano i suoi travagli interiori, le sue sconfitte e le sue cicatrici. I primi quadri sono infatti molto sofferti, materici, quasi una massa creativa che sta cercando darsi una forma; un’energia vitale ancora embrionale che attende di esprimersi al meglio, quasi un feto in attesa di uscire dall’utero materno per assumere la propria identità indipendente. Sono opere molto cariche, piene di colori, parole, grumi, sotto alcuni aspetti ancora immature ma già contengono il seme di quelle che saranno le realizzazioni più riuscite degli anni successivi.
Nei dipinti come Re inchiodato alla mia fede, Dio il sangue e l’uomo, nelle due versioni pittoriche, Angelo caduto e Passione sono già presenti i filoni di ricerca come il rapporto parola-immagine, segno- scrittura e valenza simbolica del colore. Con l’andare del tempo queste prime opere si semplificano e puliscono fino a diventare, in alcune tele, un elegante e armonioso bianco-nero” (Alessandra Bertolè Viale). Anche nell’unico autoritratto sembra rappresentarsi secondo la sua immagine più pubblica.
Alcune opere possono essere poste in relazione a una tematica religiosa, dove emerge sempre il motivo della sofferenza interiore. Una donna senza pelle, con la muscolatura a nudo, è dipinta sullo sfondo di un collage (in un altro quadro è un cuore a essere accostato alla pratica del collage). Si tratta di lettere tagliate una alla volta da un giornale e incollate a comporre un testo. Questa può essere considerata un’opera di passaggio, rappresenta una fase di transizione che dal lavoro iniziale sulla figura umana va verso la struttura testuale generatrice di nuove evoluzioni. E’ significativo comunque che per la prima donna dipinta Manzini adoperi insieme ai colori a olio un materiale organico, aromatico, quotidiano come il caffè che torna, combinato con il carboncino in Attacchi senza difesa.
Istruzione d’uso (2003) rivela la sua natura di scrittrice e sembra avvicinarsi a quella forma d’arte che è stata definita poesia visiva. L’immagine è comunque legata al corpo umano e a quel circuito labirintico che sono i flussi sanguigni all’interno di esso. Il flusso diviene testo, flusso di parole, organizzato secondo diversi ordini di grandezze di scrittura.
Autoritratto di un racconto del 2005, dove torna l’aspetto della scrittura, risponde all’esigenza linguistica di agire su più elementi, attraverso la differenziazione di grandezza e spessore tra le tele.
“This is the game that moves as you play…”
da Meno di zero di Bret Easton Ellis
“Una rilettura in chiave ironica, ma mai satirica o sterilmente polemica, del mondo moderno visto attraverso i colori accesi, i volumi quasi manieristi e la più autentica filosofia pop. Con il suo tono scherzoso la Manzini sdrammatizza il quadro politico, che altrimenti rischia di diventare uno scontro fatto solo di scambi di accuse, perdendo di vista non solo le vere esigenze del paese, ma allontanando il cittadino dalla politica, che manca così la sua naturale vocazione alla collettività”. In Mind, Mend e Marco del 2010 alla scrittura vengono accostate figure di omini, forse allusivi alla condizione di uomo-massa. Compongono coreografiche geometrie, come nei musical di Busby Berkeley, viste secondo uno sguardo dall’alto. “Nei quadri politici della Manzini, ispirati soprattutto dalla sua ‘Marylin’ Silvio… l’intento non è mai di denuncia o accusatorio, semplicemente la Manzini osserva, racconta, prende nota di vicende, per altro sulla bocca di tutti, per ironizzarci sopra, per renderle più umane, quasi per sdrammatizzare senza però farci dimenticare ciò che accade” (Bertolè Viale). Il fondatore di Forza Italia ed ex premier Silvio Berlusconi viene visto cioè come icona pop. Un’altra opera, ispirata alla Cappella Sistina, rappresenta l’Italia del ’94 e ritrae Berlusconi che infonde il soffio vitale ad Adamo-Umberto Bossi. “La Manzini cerca la verità sulla natura umana e gioca con i suoi contrasti, le sue debolezze. Ed ecco allora un Berlusconi creatore oppure, come compare in un’altra opera in bianco e nero, all’interno del monopoli, dove non c’è la satira denigratoria (e a volte perfino fastidiosa) cui spesso siamo sottoposti, ma semplicemente la constatazione di un uomo potente che governa, che possiede e che gestisce” scrive ancora a proposito di I Berlusconi Monopoli del Cavaliere del 2008 Alessandra Bertolè Viale. Marilù Manzini infatti è passata ad analizzare i giochi di società, come specchio della collettività, come possiamo vedere anche in opere come Madonna nel gioco dell’Oca e Il pranzo è servito, Kate!, ambedue del 2010. La cantante appare al centro di un percorso spiralico mentre quattro araldiche oche si accampano alle estremità nei quattro angoli. Il gioco di Madonna è quello di nascondere la sua grande intelligenza e “giocare” il ruolo dell’oca. Il volto della modella è come stampato sul fondo di un piatto posto al centro tra due pile di piatti su cui campeggiano, quasi come colonne, coltello cucchiaio e forchetta. Al gioco corrisponde dunque una struttura architettonica, organizzata come una sorta di teatrino della memoria composto di luoghi immaginari. Tra quelli del Monopoli che circondano Berlusconi appare anche una casella rettangolare con la scritta Prigione. Al centro Silvio Berlusconi, in bianco e nero come se la sua immagine fosse riprodotta in un giornale, quindi attraverso una visione mediata dai mezzi di comunicazione di massa, è colto in un tipico gesto da imbonitore. Berlusconi indossa qui una giacca da presentatore. Anzi da bravo presentatore, come quelle fantasmagoriche indossate da Nino Frassica in Indietro tutta, la mitica trasmissione di Renzo Arbore, esilarante parodia di italici giochi e quiz televisivi. La vita è tutta un quiz…
Ma ogni gioco, anche il più leggero, maschera sempre qualcosa di più profondo. Tanto che il gioco è pericoloso, può diventare una patologia, condurre alla rovina come nel film Il giocatore, interpretato da Gregory Peck. Un po’ come nella roulette russa si gioca con la vita, come il capolavoro di Michael Cimino, Il cacciatore, ha mostrato al mondo. Nel tema del gioco si combinano due aspetti, apparentemente antitetici: il rischio, che può essere mortale, e il regolamento, le regole del gioco. La possibilità di massimo disordine convive con il massimo ordine. Tutti i giochi infantili nascono da un ordinamento preciso e stabile, che si tramanda a volte per generazioni. Il gioco, si sa, è l’attività più seria del mondo.
Lo spirito del gioco è un trittico del 2009 che presenta il regolamento di un classico dei giochi, il Monopoli. Il regolamento è l’essenza, il fondamento del gioco. Nella trasmissione Indietro tutta Nino Frassica il paradossale Regolamento lo cantava e lo ballava sull’aria di una orecchiabile musichetta, come se si trattasse del numero principale di tutto il programma. Dal mondo dei giochi per bambini viene L’allegro chirurgo (2010), un giocattolo anatomico dove nei pressi del cuore è collocata una delle più mitiche icone musicali dei nostri tempi, quella di Elvis Presley, morto d’infarto. Elvis the pelvis è il cantante più amato, tanto che molti si ostinano addirittura a crederlo ancora in vita. In tutta la serie dedicata ai giochi (realizzata ad acrilico o olio su tela) Marilù Manzini crea una serie di libere associazioni (il “gioco” della psicanalisi) tra pratiche ludiche e personaggi mediatici, figure iconiche della società contemporanea.
E’ molto interessante notare che in quasi tutte le lingue, tranne che in italiano, il verbo giocare (jouer in francese, play in inglese) indica non solo l’attività ludica, ma anche l’interpretazione, teatrale o musicale.
“Se si vuole una cosa è giusto prendersela”
Bret Easton Ellis
Tra i personaggi riletti da Marilù Manzini troviamo anche Obama abbinato al Risiko (il quadro è del 2010). Il presidente americano infatti pur avendo vinto il Premio Nobel per la Pace continua a essere coinvolto in situazioni di guerra. Nello stesso anno Manzini dipinge il Globokama dove i personaggi che si giustappongono al planisfero non sono reali e contemporanei, ma vengono dal V Canto dell’Inferno della Divina Commedia di Dante. Si tratta infatti di Paolo e Francesca che, abbracciati e come portati in volo (si tratta in effetti della punizione a cui sono eternamente dannati), sorvolano i vari paesi mappandoli con le varie posizioni del Kamasutra in una sorta di geopolitica del sesso. Coevo anche il quadro La morte di John Lennon in cui sul leggendario leader dei Beatles appare un bersaglio. La bellezza di Marilyn Monroe viene deformata in una citazione dell’Urlo di Edward Munch, mentre il viso di Monica Bellucci viene trasformato in una vanitas, metà faccia e metà teschio. Un memento mori che ci rammenta la natura transitoria delle cose.
La serie dei giochi culmina nel 2013 nella Pista cifrata, una pratica tratta dalla Settimana Emigmistica: unendo a pennarello nero le varie cifre appaiono ritratti, come Jim Morrison e John Lennon, e paesaggi, come Il cavallo e il mulino. Per questo gioco enigmistico, dove l’immagine non è data a priori, ma si configura a sorpresa, Manzini utilizza una tecnica computerizzata inventata.
Marilù Manzini, con prolifico eclettismo, oltre alla pittura e alla scrittura usa anche altri linguaggi.
Troviamo innanzi tutto vari esempi di sculture e si tratta in genere delle opere in cui maggiormente emerge l’aspetto dell’ironia. In SOS (2012) il Crocefisso, con tanto di sigla INRI viene trasportato in barella. Il mutuo (2009) presenta una casetta-giocattolo, costruita con il Lego, racchiusa dentro una gabbia che la circonda, non si sa bene se per proteggerla o renderla inaccessibile. Un apparecchio telefonico viene spaccato da un’accetta e reso inservibile (La telefonata, 2011). Una delle più famose immagini cinematografiche, la gonna di Marilyn Monroe, in Quando la moglie è in vacanza di Billy Wilder (ricordiamo che la protagonista di uno dei libri di Manzini si dichiara cinéphile e vorrebbe addirittura che le sue ceneri fossero sparse in un cinema), sollevata dall’aria che esce da una grata, fa da base a un tavolo. Una famiglia perbene (2011) presenta un presepe in miniatura all’interno di una cucinetta-giocattolo. La Sacra Famiglia appare sovrastata da macchina del gas, pensili e recipienti. La grotta-stalla all’interno della quale nasce Gesù Bambino si trasforma nella più tipica delle stanze della casa contemporanea, soprattutto americana. Anzi proprio la cucina, simbolo dell’american dream, fu scelta dall’allora vicepresidente americano Richard Nixon per ambientare un incontro con il premier sovietico Nikita Khruschev, passato alla storia come “il dibattito della cucina”.
Diverse opere sono realizzate anche attraverso la fotografia. Fra queste la serie di foto dedicata a Il giorno della memoria (2008), cioè il giorno in cui si celebra la Shoha, per non dimenticare. L’uso del bianco e nero evidenzia il tema della sofferenza mentre torna in forma diversa la citazione dell’Urlo di Munch cristallizzato in un agghiacciante muto grido di dolore. Il tema politico era stato ripreso nel 2012 nel dipinto Hitler e gli ebrei dove il dittatore in veste di matrigna strega cattiva offre all’innocente e ingenua Biancaneve l’avvenente mela avvelenata. Se la mela non fosse bella Biancaneve, e anche Eva, prima di lei, non l’avrebbero mai assaggiata. La bellezza dunque non è solo fugace, ma ingannevole.
More than a feeling (2010) è il titolo di un ciclo di diciotto immagini relative a espressioni che visualizzano stati d’animo come Happy, Asleep, Terrified… Torna quindi il tema dell’interiorità che aveva generato i primi lavori, ma più filtrato attraverso il linguaggio fotografico, e torna in primo piano il rapporto parola/immagine. This is not my place/This is not my time (2011) presenta un uomo armato di pistola e pillole, strumenti di offesa e difesa che esprimono profonda solitudine.
11 settembre è un ciclo di ventotto immagini del 2012 che fa riferimento al catastrofico evento che ha visto l’abbattimento delle Twins Towers a New York a opera dei terroristi del gruppo di Al Qaeda. Ancora una volta è in scena l’attualità, l’essere del proprio tempo. Manzini ha acquistato una piccola città di carta, una New York in miniatura, poi le ha dato fuoco, fotografando le fasi dell’incenerimento. Alla fine dei simboli della città, come la Statua della Libertà, non resta che un mucchietto di cenere.
Expiring date è un ciclo di dodici immagini del 2009 nel quale gruppi di uomini e donne si trovano in diverse situazioni: in un caso, ad esempio, ognuno porta in mano uno degli organi interni del corpo umano; in un altro all’interno di una sala d’attesa condividono una condizione di sospensione spazio-temporale. “Il senso di questo progetto è testimoniare le fasi della vita dell’essere umano. Dalla gestazione fino alla sua “data di scadenza” e oltre. Il primo scenario rappresenta la gestazione raffigurata attraverso degli scatoloni aperti, che simboleggiano il grembo materno, dai quali possiamo vedere un individuo con già un suo prezzo prestabilito che rappresentano le caratteristiche virtuose di base da cui parte. Il secondo scenario formato da scatti in soggettiva rappresenta la nascita dell’individuo, l’inizio della sua vita, attraverso la sua reale data di nascita scritta in fronte e la sua morte (data di scadenza) già prestabilita e scritta sul petto all’altezza del cuore. Il terzo scenario mostra il gioco della vita attraverso una partita a scacchi. Il quarto scenario raffigura l’età adulta e l’eventuale sostituzione degli organi malati in un prossimo futuro che avverrà probabilmente con la stessa facilità con cui ci si avvicina alla cassa di un supermercato. Il quinto scenario è quello della morte rappresentato attraverso il simbolismo del funerale dove vi è un sottotesto nel quale la bisessualità dell’individuo deceduto è rappresentata dalla separazione tra gli amanti femminili da una parte e quelli maschili dall’altra. L’ultimo scenario è quello dell’aldilà rivisitato come un corridoio d’attesa di un ospedale in prossimità della porta del ‘giudizio universale’ attraverso la quale gli individui dovranno passare per essere giudicati per i loro peccati, porta sorvegliata da una guardia armata, ognuno degli individui raffigura ciò che è stato in vita e i suoi vizi. In quasi tutti gli scatti ritorna un personaggio che è un libero omaggio a Elvis Presley” (testo di Marilù Manzini sul progetto Expiring date, 2009). Ancora una volta dunque un personaggio come Elvis Presley fa da guida all’interno dell’immagine.
Mi ha colpito la consonanza tra questo progetto Expiring date e la struttura diaristica di Io non chiedo permesso, il libro-rivelazione di Marilù Manzini che esce nel 2004. Si tratta di un romanzo generazionale che descrive la jeunesse dorée di una ricca città di provincia italiana con i suoi vizi e sfizi, una “generazione Xanax” (Roberto Barbolini) che non studia e non lavora, ma in compenso spende molto. E’ in questo paesaggio antropologico, fatto di locali e di negozi per shopping di lusso che si muove la protagonista Giulia. Giulia è una “bimba dorata”, come la definisce Pino Corrias in una bellissima recensione su “Repubblica”, o “una bambola di cera con le interiora di cotone”(come si autodefinisce l’io narrante in questo caso declinato al femminile, mentre nel successivo romanzo sarà al maschile: “Io parlo in prima persona con personaggi maschili e femminili”) che osserva impietosamente il mondo che la circonda, ma anche la propria stessa vita. Di questo mondo il libro mette in evidenza un simbolico microcosmo, il tavolo in discoteca, e un simbolico rituale, l’accesso in qualunque locale senza la necessità di fare la fila. L’iterazione quasi infinita di questi riti, insieme all’ossessiva elencazione della lista delle griffe dell’abbigliamento (Paciotti, Gucci, Blahnik, Ralph Lauren, Donna Karan, Dior… Giulia ha tante cose che potrebbe vestire un’intera nazione…), fa sì che, nonostante diversi eventi, anche traumatici e tragici, l’ambiente di Giulia sia, acutamente, percepito come statico (Corrias) e la storia come senza sviluppo (Piersandro Pallavicini). Ebbene in questa opera ogni capitolo/giornata è contrassegnato proprio da una Data di scadenza seguita dall’indicazione del giorno e dal titolo. Non è l’unico punto di coincidenza. La protagonista dipinge e a un certo punto ha addirittura una mostra personale (che viene disertata dagli amici probabilmente perché si tratta di un avvenimento più culturale che mondano, dunque meno divertente). L’ironia percorre i romanzi come le opere, in particolare le sculture. All’inizio del secondo libro, un romanzo erotico, appare un vero e proprio regolamento: Il regolamento del quaderno nero dell’amore. Anche uno dei capitoli di Io non chiedo permesso si intitola Le regole del gioco.
Come quadri, foto e sculture, anche i libri di Marilù Manzini sono solo apparentemente autobiografici, mentre in realtà nascono da una diversa esigenza. Come ha dichiarato la stessa autrice intervistata da Francesco Borgonovo: “Io sono una romanziera, quindi scrivo storie. Non vengo dai blog, dove ci si espone con l’autobiografia. Mi piacciono libri che abbiano un’architettura, non amo l’onda dell’autobiografia”.
Il protagonista bambino di Non ora, non qui, il primo libro di Erri De Luca sentenzia: “Novvoglio parole”. Chi sa se Marilù Manzini, la pittrice, condivide…
Laura Cherubini