RECENSIONE – Se siamo ancora vivi

Fonte: 24sette.it
Se dovessi scegliere un oggetto che rappresenti con la massima esattezza possibile, che racchiuda nella sua semplice forma una struttura complessa come quella che sorregge l’impalcatura dell’ultimo romanzo di Marilù S. Manzini – Se siamo ancora vivi -, ebbene, allora non potrei che optare per uno specchio; e come in uno specchio potrebbe essere proprio il sottotitolo di questo libro, in cui ogni elemento, a partire dal nome dei protagonisti (Alex e Lexa) è rifratto nel suo contrario, ma non come se si trattasse di un esatto rovescio in cui a cambiare sarebbero solo i lati e i colori – come in un negativo, insomma –, bensì con ogni volta un’aggiunta, una specificazione che arricchisce la storia e le fa compiere continui passi avanti, senza soluzione di continuità. Ma Se siamo ancora vivi – mi si passi il bisticcio di parole con il titolo – lo dobbiamo anche alla scrittura, nel senso che il romanzo è non solo la voce che narra delle vicende di Alex e Lexa, ma è la coscienza stessa del romanzo che si fa; tanto più che i due protagonisti della Manzini hanno essi stessi a che fare con la parola scritta come forma di espressione. Questo espediente rende assolutamente dinamico il movimento del libro, scandito in tre parti, ciascuna delle quali predilige un tono, una formula, una parola che, come una costante, sempre ritorna: nella prima parte è la sticomitia dei due nomi (Alex e Lexa, come s’è visto) a prevalere, nella seconda la figura del cielo, che fa da eco a quanto accade, nella terza, infine il termine suicida, esorcizzato dal diario redatto da Alex, con tanto di elencazione delle numerose fobie di cui soffre la società contemporanea. E, ancora, l’espediente della parola che diviene il proprio stesso commento permette all’autrice de Il quaderno nero dell’amore (uscito sempre per Rizzoli) di celebrare di nuovo le potenzialità salutari e salvifiche della scrittura, anche quando non trascura una certa cattiveria né rinuncia alla più spietata crudezza e al più cinico sarcasmo per rappresentare quella che non è, dopotutto, che una società malata in cui gli uomini sono indotti, inesorabilmente, ad una lenta morte virtuale. Una scrittura che poi, nel caso della Manzini, è così ricca di immagini, densa di suoni e, perché no?, colori, da lasciare davvero stupiti se solo proviamo a indovinare, a giudicare dalla foto riprodotta in copertina, la sua giovane età. Ma allo stupore, una volta chiuso il libro, si sostituisce la gioia e la certezza di non dovere aspettare poi molto per tornare a rifletterci di nuovo nelle pagine di Marilù S. Manzini.

di Stefano Gallerani