CINEMA E LETTERATURA NEL LOCALE PIÙ CHIC DI MILANO

La suggestiva e sontuosa cornice del Gattopardo Cafè, raffinato spazio creativo e icona dell’intrattenimento milanese, ospiterà mercoledì 10 dicembre, ore 19.30, la prima del cortometraggio SE SIAMO ANCORA VIVI, estratto dall’omonimo romanzo di MARILÙ S. MANZINI. In attesa dell’evento, abbiamo chiesto all’autrice di raccontarci i giorni trascorsi sul set.
I tempi morti

Stefano, il mio editor, mi telefona e dice “Sai, dovresti scrivere 20 righe sulla tua esperienza sul set”. Penso che sì, dovrei farlo. Poi penso che no, non posso farlo. Come faccio a scrivere 20 righe sui quattro giorni che si avvicinano di più al “delirio estatico” per quello che ciò potrebbe rappresentare? Il giorno antecedente le riprese, il regista del cortometraggio, Marco Barbouth, mi aveva detto “Ma cosa vieni a fare, non starai sul set tutti i giorni per tutto il giorno? I tempi morti sono terribili! Io correrò dietro agli attori, alla troupe, ma tu cosa farai?” e io avevo risposto “Certo che verrò tutti i giorni, che problema c’è, non ti preoccupare per me” e nel suo ghigno di riluttanza c’era tutta la preoccupazione che io potessi rompere le palle all’intera troupe. Il solito insanato problema tra il punto di vista registico e quello dell’autore. Ma i tempi morti incombevano per davvero, ne avevo già sentito parlare, così mi sono munita di macchina fotografica e mi sono detta: al massimo riempirò il tempo con qualche scatto. Gli scatti sono diventati 350. Il mio silenzio sul set impareggiabile. Tant’è che tutti hanno tirato un sospiro di sollievo l’ultimo giorno di riprese, quando si sono accorti che non avevo rotto le palle a nessuno. Si sono anche complimentati con me per la grande professionalità e il mio distacco dall’opera. Ma il mio apparente distacco era dovuto all’ebbrezza causatami dal set. Per tre giorni mi è sembrato di vivere in due realtà parallele contemporaneamente. Questo è l’effetto del cinema: quello che vedi con i tuoi occhi non è mai quello che vedi dentro il monitor da cui il regista e il direttore della fotografia controllano le scene, le luci e la calibrazione del colore. Sul set non ci sono orari, il tempo si diluisce fino a quando hai bisogno di prendertene. Ricordo che l’ultimo giorno di riprese è iniziato alle cinque del mattino ed è finito alle dieci del giorno dopo. Un after. I tanto temuti “tempi morti”, poi, che non sono altro che tempi che occorrono alla troupe per montare e smontare una scena, sembrano interminabili e sono minuziosi fino allo sfinimento. Molto più lunghi e importanti della scena stessa. Una scena può durare quattro secondi, un “tempo morto” anche un’ora. Per ricostruire l’ascensore per dodici persone, otto quinte, per dirla in gergo, le scenografe hanno dormito per tre giorni all’interno del capannone dove dovevano allestire la scenografia. Ti spezza le gambe e la schiena stare seriamente su un set. Arrivi a casa sfinito ma non vedi l’ora che tutto il circo di cavi, luci, telecamere, runner che corrono a prendere qualcosa che si è dimenticato, panini in piedi senza smettere di lanciare occhiate alla scenografia, ricominci. I registi dicono “Gli attori sono nati per soffrire”. È vero, sono abituati a stare in piedi anche per ore e ripetere una scena fino all’esaurimento nervoso in qualsiasi condizione, ma anche la troupe non è da meno, anzi su di lei poggia tutto il sangue e il sudore cinematografico. Solo vivendolo ho capito quanta passione ci voglia veramente per fare cinema. Ed è per questo che il prossimo anno girerò un cortometraggio tutto mio. Un’esperienza del genere ti assuefà anche se durasse solo lo spazio di un “ciak in campo”.
Marilù S. Manzini

Gattopardo Cafè, Via Piero Della Francesca, 47. Ore 19.30.

Open bar alla presenza del regista, degli attori e della scrittrice.

www.ilgattopardocafe.com/

La serata è una produzione Eugama.it